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Archive for Maggio 2016

tedeschi ansiosi ed angosciati?

Maggio 19, 2016 Lascia un commento

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L’edificio del Bundestag secondo l’editore non mette molta allegria,al contrario si vede  cupo e tetro.Ma gusti sono gusti.

Questa sera alla RSI hanno parlato delle paure dei tedeschi e rispetto a questo articolo che è del 2012 si è solo aggiunta quella verso i recenti immigrati dalla Siria.

Per il resto le parole dette sono le stesse che troviamo in quest’articolo.Compresa la sfumatura tra il vivere ed il sopravvivere.E’ successo anche a me di notarlo ai tempi nei quali lavoravo.

Un semplice e normale ritardo di consegna di una merce non deperibile può creare dei problemi,ma in Germania ciò viene vissuto come una “catastrofe”.

In realtà è un trucco per colpevolizzare il fornitore straniero e dare un tono di superiorità a chi forse non lo merita.

Nel 2012 non c’era ancora stato lo scandalo delle emissioni truccate in casa Volkswagen.

E con ciò ho detto tutto.

Ma le paure ci sono e restano le stesse.

Lungo le paure dei tedeschi

“Es ist 5 vor zwölf”, cioè mezzogiorno meno cinque, è un´espressione per dire che siamo sull´orlo della catastrofe. In Germania mancano sempre cinque minuti alle dodici, e non si rilassano

di  Roberto Giardina

BERLINO – Se un amico tedesco vi avverte “mancano cinque minuti a mezzogiorno”, e sono le otto di sera, o di mattina, o le cinque del pomeriggio, non è ammattito, o ha l´orologio guasto. Vi avverte che sta arrivando il diluvio universale, lo tsumani, l´apocalisse. Sempre folle? Lui direbbe prudente. “Es ist 5 vor zwölf”, cioè mezzogiorno meno cinque, è un´espressione per dire che siamo sull´orlo della catastrofe. In Germania mancano sempre cinque minuti alle dodici, e non si rilassano. Da noi, magari, mezzogiorno è passato da un quarto d´ora, nessuno se ne accorge, e vive tranquillo. Però, se il disastro arriva sul serio, loro sono pronti, e noi imprechiamo al destino.

Basta pensare al naufragio della “Concordia”. Non è vero, ovviamente, che solo a un capitano italiano poteva capitare, come ha scritto un giornalista dello “Spiegel online (vi assicuro che è stato l´unico). Ma su una nave teutonica avrebbero compiuto diligentemente le esercitazioni “in caso di naufragio”. E i passeggeri sarebbero stati contenti, in attesa del Titanic per controllare che tutto funzionava.

Walter Krämer, professore di economia e statistica all´Università di Dortmund, ha appena pubblicato il saggio “Die Angst der Woche” (Piper Verlag, 19,80 euro), la paura della settimana. Una traduzione approssimativa. In Angst c´è la radice di angoscia, qualcosa più di paura. I tedeschi per vivere devono sempre pensare di sopravvivere, non importa a che. Avere paura è inevitabile, raccomandabile, saggio. Inutile precisare che il libro è tra i più venduti della stagione, anche se si fa beffe della sindrome tedesca. Si ha anche paura di avere paura di una falsa paura.

Le angosce dei suoi connazionali, scrive il Professor Krämer, sono quasi sempre infondate, o largamente esagerate. Ricordate la “mucca pazza”? Un lettore ha scritto al suo giornale se si poteva infettare “stando seduto su una poltrona foderata di pelle di vitello”. Tempo fa, sono andato a cena con amici berlinesi. Ho ordinato risotto con i funghi. Lo fanno ottimo anche a casa di Frau Angela. “Bist du verrückt?”, sei mica matto, mi ha sgridato un amico. Non pensi a Chernobyl. E´avvenuto un quarto di secolo fa, gli ho risposto. Le radiazioni inquineranno i porcini almeno per un secolo,  e lui ha ordinato filetti di pangasius, pesce pescato nei mari d´Oriente. Non pensi al mercurio? l´ho messo in guardia. Hai ragione, mi ha ringraziato, e ha preferito una caprese. Ho lasciato perdere le mozzarelle blu, per non rovinare la cena.

E´anche colpa nostra, dei giornalisti, accusa Krämer. Ogni settimana, come dice il suo titolo, i giornali mettono in guardia contro un pericolo. Le fragole italiane non abbastanza biologiche, o l´EHEC, il virus letale che provocò panico l´anno scorso: colpa dei pomodori spagnoli, o dei cetrioli, dell´insalata polacca? Da un giorno all´altro non si trovò una foglia di lattuga, o una melanzana, nei supermarket. E diverse fattorie spagnole fallirono prima che fosse provata la loro innocenza.

Quantità infinitesimali di qualsiasi cosa si trova in ogni prodotto, grazie ai modernissimi sistemi di analisi. Stricnina nelle caramelle? Basta cercarla e la troverete. Ma, avverte Krämer, non si aggiunge che bisognerebbe divorare una tonnellata di bonbon per correre un minimo rischio. La paura della settimana è stata trovata, e tutti sono soddisfatti.

Una nevrosi che spiega il comportamento della Merkel nella crisi dell´euro. La signora non odia greci, spagnoli o noi italiani. Ha paura di essere infettata dal virus dell´inflazione. Qualche ragione magari ce l´ha Frau Angela, dopo due disastrose inflazioni nel secolo scorso, quando ai tempi di Weimar un uovo costava un milione di Reichsmark a colazione, e un miliardo a cena, dodici miliardi il giorno dopo. Come proteggi i tuoi soldi? mi ha chiesto il solito amico berlinese. “Non ci penso, li spendo.” Mi ha guardato male. Tutta colpa mia, la crisi, l´inflazione. Non mi rendevo conto che mancano cinque minuti a mezzogiorno? Quasi l´ora di andare a pranzo. La prudenza eccessiva rovina l´appetito, e la vita.

15 marzo 2012

http://www.vincenzomaddaloni.it/2012/03/lungo-le-paure-dei-tedeschi/

Al Teatro Civico spettacolo di fine anno per l’Istituto Lagrangia

Maggio 19, 2016 Lascia un commento

Mario Sgotto ed Anna Jacassi   (foto Piemonte oggi.it)

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Studenti e docenti dei Licei che fanno capo all’Istituto Superiore L. Lagrangia di Vercelli, quindi il Liceo Classico, il Liceo Linguistico, Il Liceo Economico Sociale, il Liceo delle Scienze Umane ed il Liceo Musicale, e studenti e docenti del Liceo Artistico A. Alciati, sedi di Vercelli e di Trino vercellese, invitano, a nome della loro Dirigente, dott.ssa Adriana Barone,  la cittadinanza tutta allo spettacolo di fine anno che si terrà presso il Teatro Civico di Vercelli venerdì 20 maggio 2016 a partire dalle ore 20.30.
Come sempre, la serata è frutto di un impegnativo e coinvolgente lavoro svolto nell’arco di tutto l’anno scolastico da molti alunni e docenti che, utilizzando al meglio abilità e competenze, riescono sempre a donare al pubblico uno spettacolo di alta qualità artistica e spessore culturale.

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Lagrangia, un anno insieme”, questo il titolo scelto per un evento che è stato realizzato grazie al lavoro ed alla collaborazione di Anna Jacassi e Mario Sgotto di Tam Tam Teatro  per la conduzione laboratorio teatrale, elaborazione testi, drammaturgia e regia, del Coro e complesso di Istituto a cura dei docenti del Liceo Musicale, del Laboratorio di Espressione Corporea diretto dalle docenti  C.Arposio, M. D’Apoli e S. Paraporti, delle scenografie e costumi a cura delle docenti V. Dosio, D. Fontanesi, I. Vitti e dell’alunna Luna Iemmola,  con il coordinamento degli studenti a cura delle docenti R. Giublena e G. Vinci.

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Lo spettacolo, che si articolerà in esecuzione di brani musicali, attività di espressione corporea ed un vero e proprio spettacolo teatrale, prende spunto da due date importanti: i quattrocento anni dalla morte di Shakespeare ed i centosessanta  dalla nascita di Freud per generare un filo conduttore avvincente e meraviglioso, il sogno.

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Così leggiamo dal programma del laboratorio teatrale:”Un percorso irrazionale che lascia alla fantasia anche l’elaborazione di situazioni magiche e fiabesche.
Sogni di adolescenti alle prese con amori effimeri, false amicizie, rapporti superficiali, conflitti generazionali…
Lo spettacolo è l’esito di un lungo e articolato impegno teatrale di laboratorio, dove gli studenti hanno incontrato illustri autori,  dando luogo ad una esperienza  formativa, educativa e divertente. Una piccola comunità teatrale vi offre un sogno.  Può comunicare qualcosa che non si sta dicendo completamente. Può generare nuove idee:  alcune di queste possono essere rifiutate dalla mente come inutili, altre possono essere viste come preziose e mantenute.”
Anche la presentazione della serata, introdotta dai saluti dal Dirigente Scolastico dott.ssa Adriana Barone, verrà gestita dagli alunni rappresentanti di Istituto , quindi Daniela Anselmo, Matteo Barchi, Federica Beltrame e dal Rappresentante della Consulta Matteo Panizza.

http://www.vercellioggi.it/dett_news.asp?id=67636

c’è chi non ne soffre

Maggio 18, 2016 Lascia un commento

I bassi tassi d’interesse si ripercuotono sul sistema (keystone)

Casse pensione in affanno

Confermato il momento negativo per le rendite del secondo pilastro

mercoledì 18/05/16 11:28 – ultimo aggiornamento: mercoledì 18/05/16 12:56

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Prima di passarvi l’articolo dei nostri vicini ne inseriamo uno nazionale:

Mario Cartasegna
Mario Cartasegna

Com’è possibile che un ex dipendente comunale di una città di provincia possa prendere di pensione il triplo del suo ultimo stipendio e il doppio abbondante della busta paga di Obama? La direzione generale dell’Inps ha aperto un’inchiesta. Era ora: quel vitalizio di 651 mila euro nel 2013 a Mario Cartasegna, fosse anche regolare in ogni cavillo, grida vendetta. E torna a porre il tema di certi spropositati «diritti acquisiti» concessi in base a leggi, leggine e sentenze insostenibili.

Nato nel 1941 dalle parti di Postumia, oggi in Slovenia, finito in Umbria come calciatore nella squadra del capoluogo, laureato in legge mentre ancora giocava, Cartasegna viene assunto dal Comune di Perugia nel 1972 e pochi anni dopo ottiene dai sindaci socialisti dell’epoca due concessioni spettacolari. Oltre al posto fisso e allo stipendio garantito (nel suo caso assai buono) dei dipendenti pubblici avrà una bella percentuale sulle cause come fosse non un funzionario «a tempo pieno» ma un legale con studio privato. Un’accoppiata contrattuale sconcertante (immaginatevi un muratore comunale che abbia un extra per ogni mattone che mette o un centralinista comunale che abbia un extra per ogni telefonata che smista!) che gli consentirà anni dopo di tentare un nuovo colpaccio. Saputo di una sentenza del Tar del Lazio confermata dal Consiglio di Stato che dava ragione a degli avvocati dipendenti del Comune di Roma, riconoscendo loro il diritto di calcolare per la pensione anche le percentuali sulle cause vinte, chiede al Tesoro d’avere lo stesso privilegio. No, gli risponde il ministero: «A prescindere dalla considerazione che l’importo di tali quote non è fisso e continuativo», la legge 299/1980 «fa espresso divieto agli enti di corrispondere emolumenti non previsti dal contratto di categoria» e l’articolo 10 «dispone che la certificazione delle voci retributive ai fini di pensione sono quelle contrattuali “con esclusione di qualsiasi altro emolumento a qualunque titolo corrisposto”».

Cartasegna fa ricorso al Tar di Perugia dov’è di casa, insiste sulle due sentenze romane, bolla come «stucchevole e quasi irritante» il rifiuto del Tesoro, liquida come «macroscopicamente errato» il richiamo al contratto di categoria e insomma batte e ribatte: vuole i soldi degli «extra» calcolati nella pensione.
Per dieci anni, silenzio assoluto: si sa quanto può essere lenta la giustizia civile. E per dieci anni il Comune di Perugia, obbligato a tirar fuori un pacco di soldi dei cittadini per pagare i contributi supplementari (ammesso e non concesso che poi li abbia pagati tutti: l’Inps contesta da anni «amnesie» degli enti locali) «si dimentica» di chiedere al capo dell’ufficio legale Cartasegna, a sua volta smemorato, di opporsi in giudizio contro le pretese del dipendente Cartasegna.

Pretese che il Tar perugino riconosce infine, nel dicembre 1997, fondate: «Nella quota degli onorari percepiti si rinviene la presenza di tutti gli indici che la legge prevede per la loro utilità a pensione». Anzi, condanna il Tesoro e Palazzo Chigi a pagare pure le spese. Tre mesi dopo l’Avvocatura dello Stato chiede all’Inpdap, l’istituto previdenziale dei dipendenti pubblici che passerà all’Inps portando in dote un buco di 23,7 miliardi, se voglia fare appello. Silenzio. Altri due mesi e torna alla carica: lo fate o no l’appello? Macché: come scoprirà con stupore un recentissimo documento Inps «agli atti non risulta che la sentenza sia stata mai appellata». Scherziamo? Nonostante fosse destinata a costare un sacco di soldi? Mai appellata. Né dalla Cassa previdenza dipendenti enti locali né dall’Inpdap.

Spiega l’avvocato perugino, in una intervista, che lui mai e poi mai avrebbe immaginato di prendere un vitalizio così stratosferico: «Mi sono ritrovato questa cosa senza neanche crederci. Quando lavoravo prendevo in Comune 10-12 mila euro al mese. Secondo lei potevo pensare di arrivare ad una pensione così alta, 24 mila euro netti al mese? Me la sono trovata come quello che vince il primo premio della lotteria di Capodanno…».

Non è esatto. Quel «premio della lotteria» non è caduto dal cielo: il legale non ha mollato l’osso per anni. Tanto che, dopo che già era andato in pensione alla fine del 2008, è nato un nuovo contenzioso (protagonisti l’Inpdap, l’Agenzia delle Entrate, l’Inps…) sul tema: quell’«extra» sulle cause va calcolato pure nel caso di processi avviati da Cartasegna «prima» di andare in pensione ma conclusi «dopo»? Il risultato è in una relazione Inps del 23 dicembre scorso: «La stessa sede provinciale di Perugia nel corso degli anni ha operato 9 riliquidazioni per effetto di ulteriori incrementi stipendiali certificati dal Comune da attore con il modello PA04. La decima riliquidazione è in corso».

Fatto sta che l’«affare Cartasegna» è diventato, per la sua esemplare abnormità che non risulta avere paragoni con alcun altro caso di dipendenti pubblici (neppure quello degli ex avvocati romani che fecero il primo ricorso e non arrivano a un terzo del vitalizio di cui parliamo) il simbolo di come un sistema impazzito abbia potuto produrre squilibri impensabili in ogni altro luogo del globo terraqueo.
E non solo perché quella pensione salita nel 2013 a 651 mila euro è il doppio dello stipendio di Barack Obama e il triplo di quelli di Angela Merkel o del segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon. Ma anche perché Cartasegna negli ultimi anni, come lui stesso riconosce, aveva uno stipendio immensamente più basso.
Lievitato con una progressione pazzesca: una impennata dal 2004 al 2008, in cinque anni, da poco più di 200 mila euro a oltre un milione. Merito, forse, di una massa di processi che per pura coincidenza sono arrivati a conclusione proprio nella fase finale che porta all’ultimo stipendio buono per il calcolo della pensione la sua busta paga.

Un record planetario. Che ha visto l’avvocato perugino incassare una pensione via via cresciuta con lo strascico di altri «extra» fino alla cifra che dicevamo.
Un caso limite? Certo. Ma impossibile da spiegare, in questi anni di vacche magre, a quegli italiani che faticano ad arrivare a fine mese. E che dimostra come certi «diritti acquisiti», quando sono platealmente esagerati, non possono essere sacri e intoccabili come la reliquia del dente di Buddha a Candy.

© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/cronache/15_gennaio_17/pensione-dell-avvocato-comunale-tre-volte-stipendio-merkel-068a1e56-9e1c-11e4-a48d-993a7d0f9d0e.shtml
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Adesso torniamo al nostro quotidiano nel quale come si legge le rendite del capitale investito scendono e ci si deve accontentare salvo osare con tutto quanto ciò comporta,se la va male in Svizzera…figurati dai noi :
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Le rendite per le casse pensione sono state modeste anche nei primi mesi di quest’anno (incremento dello 0,1% a fronte dell’1,1% di un anno fa e della media del 6,9% dell’ultimo triennio), come dimostrano i dati pubblicati mercoledì dalla società di consulenza Complementa.

Nel rapporto si evidenzia inoltre che buona parte degli istituti è stata costretta ad aumentare la quota degli investimenti a rischio, passata dal 6,9 al 7,7%, abbandonando titoli sicuri con tasso di remunerazione fisso per quelli alternativi.

Il grado di copertura medio è nel contempo sceso dal 103,4% di fine dicembre al 102,6% di fine aprile.

ATS/dg

apericena a casalebraica domenica 22

Maggio 17, 2016 Lascia un commento

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la battaglia del fellafel in festival

Maggio 16, 2016 Lascia un commento

A Londra si è tenuto il festival del fellafel

Fossero almeno solo scambi di fellafel… sarebbero rose e fiori.

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il fotografo francese Jacques Pion ospite di Casalebraica

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Mentre ero a Casale ieri a guardare le foto di un kibbutz nel deserto del Negev conciato come una corazzata per potere assorbire tutti gli arrivi indesiderati di razzi da Gaza e dintorni,da una parte mi domandavo perchè mai si debba vivere così e poi mi è venuto in mente della mia prima visita ad Israele quando avevo 24 anni,un ragazzino almeno per i nostri standards.

Porte blindate,finestre blindate,tetti blindati.

O sopravvivi così o te ne devi andare dandogli anche la soddisfazione.

L’alternativa è quella di spararsi addosso tra vicini e leggere poi che se usi la mano pesante hai ucciso donne anziani e bambini e ti tiri addosso le maledizioni di tutti coloro che la pietà la interpretano a modo loro.

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verande a mò di ombrello in acciaio per resistere ai proiettili di Hamas

Accetto di essere contestato,ma appunto nel 1971 non si viveva così, e bene o male tutti davano l’impressione che anche tra vicini poco convinti si potesse ragionare senza dovere mettere le mani alla fondina come succedeva nel vecchio West.

Da una parte come dall’altra.

Forse che l’Italia è un paese unito? O lo è forse la Gran Bretagna con la Scozia che vuole tagliare la corda e l’Irlanda del Nord con le vecchie beghe o la Spagna che prova gli stessi sintomi ogni volta che Catalani e Baschi chiedono l’indipendenza?

Nessuno è tanto più nazione di quanto non lo siano Israele o la Cisgiordania e la zona di Gaza ma se pure dappertutto esiste qualcuno che soffia sul fuoco con dei bigliettoni….perlomeno non è guerra.

Nel 1971 vedevo quello che vedevo per la poca esperienza e mangiavo quello che trovavo a buon mercato.

Ed appunto dando un’occhiata alle foto di un kibbutz mi sono ricordato di quando mi mangiavo una pita per la strada che è poi quello che noi chiamiamo pane arabo stirato rotondo come una pizza di piccole dimensione e dove a mò di tasca ci si infila della verdura o della carne a polpette e patatine fritte.

Che fosse la prima quella che rammento non ci giurerei,ma l’ultima me lo sono fatta qui a Vercelli qualche mese fa in un kebab di due ragazzi turchi accompagnata da un bicchiere di chiai (pr.ciai) caldo che è poi del thè di origine indiana che si beve in Medio Oriente.

Tornando agli inizi del mio contatto col fellafel mi balza alla memoria Allenby Street o Road a Tel Aviv,leggermente in discesa ed un bus dal quale scendevo non appena mi avvicinavo al giro delle spiagge della litoranea.

Da un lato della strada,quello a destra,c’era qualche bar che mi faceva una pita riempita di verdure o di agnello,e poi a piedi me ne andavo a spasso verso il mare per gli affari miei.

Era il panino del mezzodì,la sera presumo che mi facessi un pesciolino alla brace sulla spiaggia che non era così sofisticata quale è divenuta oggi.

Non solo,non essendo ne vestito elegante ne danaroso buttavo solo una rapida occhiata a certi bar di lusso con dehors nella Gordon Street dove c’era gnocca di grande qualità con dei top che lasciavano le spalle nude ed abbronzate su dei pantaloni attillati niente male,e poi sentivi ridere e parlare una lingua che è piacevole al mio orecchio ma forse non al vostro.

Pareva che tutti pizzicassero la erre,era ed è l’ebraico moderno che messo in lingua inglese sulla bocca di una bella pollastra che ci sappia fare a me suscitava e continua a suscitare del brivido interessante.

Volete sentire la pronuncia?

Andateci.

Lascia perdere il kibbutz e la corazzatura,Allenby Road, il bus e tutto il resto,e restiamo al fellafel che ha tenuto banco a Londra per chi sapeva cucinarlo meglio.

Ha vinto un’ex colonia britannica,l’Egitto,ovvio.

Gli Inglesi hanno barato sicuramente pur di farli vincere.

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Il torneo del fellafel è su:

http://www.theguardian.com/lifeandstyle/2016/may/04/the-falafel-battle-which-country-cooks-it-best

Pita topped with artichoke hummus and lamb.jpg

https://it.wikipedia.org/wiki/Pita

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