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Archive for novembre 13, 2017

orgoglio italico

novembre 13, 2017 Lascia un commento
Basta guardare dall’altra parte del banco di un qualunque bar o ristorante serio che vende caffè in qualunque parte del mondo, e l’orgoglio italico ci riempie. Una Favorita o una La Cimbali possono essere più rappresentative di ambasciatori, conferenze internazionali e patti bilaterali.In Israele come in molti altri paesi del mondo, le macchine made in Italy sono tutte intorno a noi ma spesso non le vediamo: se ne stanno nei laboratori, nelle fabbriche, nei campi. Per esempio nei negozi di gelati che producono gelati veri e non misture a base di polverine industriali. Lì, le macchine per fare i gelati sono italiane per definizione. Certo anche i cinesi ne fanno di quasi perfettamente identiche, ma ho il sospetto che avere una macchina italiana aumenti di molto la professionalità del gelataio – con una macchina come quella non potrebbe anche volendo fare del gelato mediocre, E viceversa, non si permetterebbe di fare del gelato mediocre avendo un gioiello di macchinario.È un circolo virtuoso, che purtroppo non funziona abbastanza bene per i maltrattatori seriali di macchine del caffè, capaci di servire caffè bruciacchiato e cappuccino con schiuma mucillagginosa. Ma si sa, in Israele fare il barista non è un mestiere: è un modo per pagarsi gli studi. Quindi è inutile aspettarsi qualità – al massimo si può ottenere un bel sorriso e la franca ammissione di non sapere che cosa sia un “macchiato”.

Di recente invece, mi è capitato di vedere con i miei occhi in uso una macchina italiana per il raccolto delle olive. In questi giorni in tutta Israele si fa il raccolto, e questa macchina entra sotto ogni albero, scuote rapidamente i rami dalla base e fa cadere tutte le olive nel giro di pochi secondi. Un telo srotolato alla base dell’albero viene poi subito arrotolato e le olive divise dalle ben poche foglie cadute insieme a loro. Il fattore entusiasta – senza sapere da dove vengo – mi dice, eh, è una macchina italiana! E quindi farà un olio buonissimo.

Fede nell’Italia, almeno al livello delle macchine, ce n’è da vendere da queste parti.

Daniela Fubini, Tel Aviv

http://moked.it/blog/2017/11/13/oltremare-made-italy/

al castello visconteo sino al 10 di dicembre (novara)

novembre 13, 2017 Lascia un commento

Espone Giuseppe Ajmone

 

https://www.facebook.com/giuseppeajmone/

l’erba del vicino quando è peggio della nostra

novembre 13, 2017 Lascia un commento

L’avidità non è una malattia riservata a quel paese piuttosto che non ad un altro e neppure esclusiva di qualcuno distinguibile per nazionalità razza o religione.

E se mai aveste dei dubbi sull’onestà e sull’integrità professionale del vostro farmacista Tizio piuttosto che non Caio ecco un bell’esempio da porre al confronto e che ci arriva da quei paesi nordici dove tutti pagano le tasse e dove non ci sogneremmo mai che ci fossero anche simili banditi.

E invece ci sono,eccome.

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Il farmacista con ogni fiala di medicinale comprata ne otteneva due da vendere(@Archivio Ti-Press)

Un farmacista senza scrupoli

Alla sbarra in Germania un professionista della salute che annacquava i medicinali contro il cancro per guadagnare di più

lunedì 13/11/17 19:13 – ultimo aggiornamento: lunedì 13/11/17 19:17

La sete di guadagno per anni ha spinto un farmacista tedesco ad annacquare i medicinali contro il cancro che vendeva ai pazienti. In Germania viene definito uno dei più gravi scandali sanitari di sempre: una truffa portata avanti per anni da un professionista della salute della Ruhr, che da lunedì deve difendersi dalle accuse di lesione aggravata plurima e frode ai danni di centinaia di pazienti malati di cancro nonché di truffa alle casse malati per un totale di 56 milioni di euro.

Il farmacista di Bottrop, secondo l’accusa, ha alterato la composizione di qualcosa come 61’980 preparati. L’imputato, arrestato nel novembre del 2016, aggiungeva l’acqua a sostanze utilizzate per la chemioterapia. Raddoppiava il numero delle fiale che poi rivendeva, come fossero originali, nella sua farmacia situata nel centro della città renana.

Le conseguenze più pesanti le hanno subite i tanti pazienti che al posto delle medicine prescritte, hanno fatto i trattamenti con un miscuglio di dubbia qualità ed efficacia. Le vittime sarebbero diverse centinaia e 120 hanno sporto denuncia. Anche se nel frattempo diversi malati affetti dal cancro sono deceduti, per la procura è stato impossibile dimostrare con certezza un legame diretto fra la somministrazione dei medicinali manipolati e i decessi. In caso di una condanna il farmacista rischia fino a quindici anni di reclusione.

Diem/RG

https://www.rsi.ch/news/mondo/Un-farmacista-senza-scrupoli-9783406.html

due ritratti fatti coi pastelli

novembre 13, 2017 Lascia un commento

L’ultima volta che vidi Parigi avrò avuto dai 62 ai 64 anni ed ero nell’ufficio del mio amico Paul.Mi scattò una foto dalla quale trassi questo autoritratto fatto con pastelli su carta.

L’idea che mi ispirò è quella che segue.E cioè il ritratto buttato giù con la stessa tecnica ma ben diversa abilità come è ovvio di un Toulouse Lautrec nei confronti dell’amico van Gogh in un caffè parigino nel 1887.

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Il “Ritratto di Van Gogh” di Henri Toulouse-Lautrec

 

Se è vero che tutti i ritratti raccontano una storia, quella che racconta il “Ritratto di Van Gogh” (pastello su carta, 54×45), ora al Museo Van Gogh di Amsterdam, realizzato da Henri Toulouse-Lautrec nel 1887, è, soprattutto, una storia di amicizia. Una bella amicizia.

Quando i due artisti si incontrano nel 1886 nello studio del pittore Fernand Cormon, uno ha ventidue anni e l’altro trentatré.
Il più giovane, Henri Toulouse-Lautrec è un aristocratico, discendente da una delle più antiche famiglie di Francia. A Parigi, dove è arrivato da tempo e dove ha frequentato le scuole migliori, ha trovato conferma alla sua vocazione per la pittura.
Della carriera militare che il padre aveva sognato per lui, non se ne è fatto di nulla.
Una malattia congenita, con l’aggravante di una caduta da cavallo, gli ha causato una vera e propria deformità fisica: il busto è normale, ma le gambe sono rimaste quelle di un bambino.
“È così piccolo che dà le vertigini”:- è la battuta che circola tra i più maligni.
Ma lui alle battute ci è abituato e riesce a non mostrarsi ferito: cerca di rimanere imperturbabile – sempre elegante nei modi  come nel vestire – e di rispondere con un’ironia feroce che arriva fino al sarcasmo.
Fernand Cormon non ha molta fiducia nelle sue doti: va dicendo a tutti che può diventare  un buon disegnatore o un caricaturista, ma non un artista con la A maiuscola.
Toulouse-Lautrec, comunque, è sicuro di quello che vuole e prosegue caparbiamente per la sua strada.
Anche Vincent Van Gogh, che frequenta l’atelier di Cormon per approfondire lo studio del nudo e dell’anatomia, è convinto che la pittura sia la sua vita.
Dopo aver provato vari mestieri e dopo aver cercato di realizzare la sua vocazione religiosa facendo il predicatore, si è persuaso che solo nella pittura potrà trovare una pausa alle sue inquietudini e realizzare tutte le sue aspirazioni.
È arrivato a Parigi nel marzo 1886 ed è ospite del fratello Theo, che, come sempre, gli passa un piccolo sussidio, con cui riesce, bene o male a sopravvivere.
Parla bene francese, anche se non ha perso la pronuncia gutturale del suo olandese originario, ma non ha certo la finezza d’espressione, né lo spirito di Lautrec.
In genere è piuttosto silenzioso, quasi scontroso. Di vestire bene e di frequentare il gran mondo non gli interessa: vuole solo esercitarsi, imparare e capire fin dove può arrivare.
I due, apparentemente, non potrebbero essere più diversi.
E, invece, qualcosa li unisce: oltre all’amore inesauribile per la pittura, condividono la stessa sofferenza, l’uno per la sua fragilitá fisica, l’altro per quella mentale, che, come una ferita aperta, li isola dagli altri e li condanna alla solitudine.
Fin dall’inizio si sono capiti e sanno che, quando sono insieme, non hanno bisogno di parlare di se stessi.
I discorsi che condividono sono quelli sull’arte. E c’è da immaginare che le loro discussioni inizino nell’atelier di Cormon, per proseguire, fino a notte fonda, al tavolo di qualche caffè, magari di fronte a un bicchiere di assenzio. L’assenzio, la cosiddetta “fata verde”, la bevanda che stordisce e che consola, è diventata per tutt’e due un’abitudine, di cui non riescono a fare a meno.
Ed è proprio con l’immancabile bicchiere d’assenzio che Lautrec ritrae l’amico, mentre, con  il viso smunto e i capelli rossi, perso tra i suoi pensieri, fissa un punto indistinto davanti a se, solo e chiuso nelle sue preoccupazioni.
Un’immagine malinconica e, allo stesso tempo, partecipe e affettuosa, per cui Lautrec ha adottato, in segno di omaggio, uno stile più vicino possibile a quello di Van Gogh.
Un’immagine, dove è riuscito a cogliere  tutta la profondità di una personalità tormentata e a fornire la testimonianza di una grande consonanza di emozioni e di sentimenti.
Del legame che traspare da questo ritratto non restano documenti scritti.
C’è, però, un episodio successivo che attesta quanto fosse forte.
Nel gennaio del 1890, per l’apertura del “Salon des XX” a Bruxelles, Theo è riuscito a far pervenire da Parigi  due dipinti del fratello.
Quei quadri così violenti e tormentati più che emozionare, come Theo sperava, scandalizzano non solo il pubblico, ma anche gli artisti.
Un pittore simbolista belga, all’epoca piuttosto noto, Henri De Greux, non appena li ha visti, ha cominciato a urlare che lui non accetterà mai di esporre i suoi dipinti insieme a quella pittura “esecrabile”.
Lo grida più volte e nessuno lo zittisce, nemmeno quando, durante il pranzo ufficiale prima dell’inaugurazione, minaccia di ritirare le sue opere; anzi, qualcuno comincia perfino a dargli ragione.
“Esecrabile” è una parola troppo forte da sopportare per Toulouse Lautrec, che là, seduto a quel tavolo, lo ascolta e probabilmente ripensa a quell’amico così fragile, alle loro discussioni notturne, alla sua fatica di dipingere, al suo impegno, alla voglia di dare in ogni sua opera qualcosa di sé.
E, soprattutto, a quella pittura che ammira tanto e che per lui rappresenta un modello.
No, non lascerà che Van Gogh sia offeso. Le parole, però, proprio allora gli vengono meno.
A quel punto, tira fuori tutto il suo coraggio e sfida De Greux a duello.
È una decisione azzardata, ma è pronto a portarla fino in fondo.
Quel duello non si farà, perché De Greux preferirà scusarsi, ma, intanto, Lautrec ha ottenuto lo scopo di far cessare gli insulti e di far sì che quella pittura strana e intensa riceva l’attenzione che si merita.
Non sappiamo quale sia stata la reazione di Van Gogh alla difesa di Lautrec; sappiamo però che i due si incontrano, ancora una volta, circa sei mesi dopo, il 6 luglio del 1890, quando Van Gogh passa per un giorno da Parigi per vedere il fratello. Vive, allora, a Auvers-sur-Oise, dove si è rifugiato dopo il periodo turbolento passato ad Arles e dove ancora alterna momenti di entusiasmo a crisi di depressione.
Sarà l’ultima volta in cui si vedranno.
Pochi giorni dopo Van Gogh si toglierà la vita.
Toulouse- Lautrec, invece, continuerà la sua.
Sarà  pittore – e un grande pittore come aveva sempre voluto – ma sarà anche inseguito dai suoi fantasmi e dalla sua sofferenza, fino alla morte, nel 1901, ad appena trentasette anni.
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da… sbagliando s’impera : l’upupa

novembre 13, 2017 Lascia un commento

Di upupe ne ha fatte almeno due il nostro Jean Modeste ma ne è rimasta una sola,questa in alto.

quella che non c’è più a suo modo di vedere era la più bella,questione di colori,finirà che verrà rifatta.

L’upupa di Montale

Eugenio Montale, coetaneo di mio nonno, avrebbe compiuto 115 anni ieri, 12 ottobre.

Con un giorno di ritardo lo celebro con una sua poesia.

Upupa, ilare uccello calunniato
dai poeti, che roti la tua cresta
sopra l’aereo stollo del pollaio
e come un finto gallo giri al vento;
nunzio primaverile, upupa, come
per te il tempo s’arresta,
non muore più il Febbraio,
come tutto di fuori si protende
al muover del tuo capo,
aligero folletto, e tu lo ignori

Upupa

wikipedia.org

L’ùpupa è calunniata dai poeti perché Ugo Foscolo, ne I sepolcri, ne fa erroneamente un lugubre uccello notturno:

e uscir del teschio, ove fuggia la luna,
l’úpupa, e svolazzar su per le croci
sparse per la funerëa campagna
e l’immonda accusar col luttüoso
singulto i rai di che son pie le stelle
alle obblïate sepolture.

Un altro poeta calunniatore è Ovidio che, nelle Metamorfosi (VI, 420-675), associa l’ùpupa a uno dei miti più sanguinosi, che riporto qui sotto nel riassunto che ne fa Wikipedia:

Atene, assediata da non meglio specificati barbari, è stata liberata con l’aiuto di Tereo; in segno di riconoscenza, Pandione gli concede in sposa Procne, in un matrimonio in cui però a officiare non sono Giunone o Imeneo, ma le Eumenidi. Tereo e la moglie tornano dunque in Tracia, dove nasce il loro figlio Iti.

Il matrimonio di Tereo celebrato dalle Eumenidi

wikipedia.org

Passano cinque anni felici, finché Procne prega Tereo di andare a Atene, a chiedere al vecchio Pandione di lasciare venire in Tracia Filomela, sua sorella, di cui sente grande mancanza. Tereo fa come chiede la moglie, ma appena vede Filomela ad Atene viene preso da una sconfinata passione per lei. Pandione non si accorge di nulla e permette a Filomela di lasciare Atene, sotto la promessa di un rapido ritorno, sebbene abbia dei presagi.
I presagi sono ben motivati: appena sbarcati, Tereo porta in una stalla Filomela e la violenta.

Tereo violenta Filomela

wikipedia.org

In preda alla disperazione, Filomela lamenta la sua condizione di anima ferita e colpevole contro la propria volontà, assicurando che rivelerà quanto è avvenuto agli uomini, ai monti, agli dèi. Tereo, preso da rabbia e paura, le mozza dunque la lingua con spada e tenaglia. Dopodiché si reca nuovamente da Procne, con la falsa notizia della morte di Filomela. Passa un anno e Filomela finalmente riesce ad ingegnarsi di scrivere su una tela la denuncia di quanto ha subito e a farla portare da una serva a Procne.
Procne, scoperto il tutto, sfrutta la notte seguente, quella in cui la Tracia celebra i baccanali, per liberare la sorella. Quindi, in cerca di vendetta, uccide Iti, cucinandolo per Tereo. Dopo che questi ha mangiato, ignaro di tutto, la carne di suo figlio, Filomela salta fuori sozza di sangue e gli tira in faccia la testa recisa di Iti. Tereo si getta dunque dietro di loro, ma tutti e tre si trovano mutati in uccelli: Tereo in upupa, Filomela in usignolo, Procne in rondine.

corpora Cecropidum pennis pendere putares:
pendebant pennis. quarum petit altera silvas,
altera tecta subit, neque adhuc de pectore caedis
excessere notae, signataque sanguine pluma est.
ille dolore suo poenaeque cupidine velox
vertitur in volucrem, cui stant in vertice cristae.
prominet inmodicum pro longa cuspide rostrum;
nomen epops volucri, facies armata videtur. [Ovidio, Metamorfosi, VI, 667-674]

Questa l’ampia e libera traduzione di Giovanni Andrea dell’Anguillara (1563), che trovate su Wikisource:

Il dolor co’l desio de la vendetta
Rendon l’offeso Re si crudo, e insano,
Ch’anch’ei fuor del balcon si lancia, e getta
Per punir quelle due co’l ferro in mano,
E mentre, che per l’arla anch’ei s’affretta,
E si sostien per non cader su’l piano,
Come à le Greche insidiose avenne,
Vede le membra sue vestir di penne.

Lascia il ferro crudel l’ irato artiglio,
Et à la bocca un lungo rostro innesta,
L’armano molte penne intorno il ciglio,
Et hà l’ insegne regie anchora in testa,
E dimostra il dolor, ch’egli hà del figlio
Con la sdegnata vista atra, e molesta.
Upupa alza la cresta, e bieco mira,
E mostra il cor non vendicato, e l’ ira.

Nel più propinquo bosco entra, e s’asconde
La Greca, che restò senza favella,
La lingua hoggi hà spuntata, e corrisponde
In parte à la sua sorte iniqua, e fella,
Piangendo và il suo duol di fronde in fronde
Con una melodia soave, e bella.
Tien del suo incesto anchor vergogna, e cura,
E non osa albergar dentro à le mura.

Progne, che diede à la vendetta effetto,
E fu d’ogni altro error monda, e innocente,
Il nido tornò à far nel regio tetto,
E non hebbe vergogna de la gente.
Del sangue del figliuol anchora hà il petto
Macchiato, e se talhor le torna à mente,
Tanta pietà per lui la move, e ancide,
Che si querela un pezzo, e al fine stride.

Secondo Robert Graves (The Greek Myths), che racconta una variante del mito eceletticamente composta da diverse fonti, spiega in questo modo la metamorfosi: la rondine non ha lingua e vola in tondo, come Procne camminava in tondo, prigioniera; l’usignolo canta tristemente «Ἵτυ, Ἴτυ!», che vuol dire: «Iti, Iti!», lamentando la morte che ha involontariamente procurato al bambino; l’upupa grida: «Ποῦ, pou?», che significa «Dove, dove?», mentre dà la caccia alla rondine.

Tra i calunniatori dell’ùpupa metterei anche l’Antico Testamento, che lo annovera tra gli uccelli impuri, di cui è vietato nutrirsi (Deuteronomio 14, 18; Levitico 11, 19) e il monaco normanno Filippo di Thaon che nel suo Bestiario ne fa (in modo a me peraltro incomprensibile) un simbolo del peccato:

E il sangue indica il peccato da cui gli uomini sono legati:
quando l’uomo dorme nel peccato, il peccato alla morte lo trae;
allora il diavolo vuole coglierlo di sorpresa e strangolarlo.
Per questo dobbiamo lodare ed adorare Dio,
perché tale insegnamento mostra agli uomini:
ci propone un grande esempio
con il comportamento dell’upupa.

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https://borislimpopo.com/2011/10/13/lupupa-di-montale/