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Archive for settembre 10, 2011

Ognuno.. dice la sua…sui mercati.

settembre 10, 2011 Lascia un commento

Tutte le disgrazie sono riservate al nostro Paese? Speriamo di no.

Crollerà in breve anche quel poco di credibilità rimasta? Silvio ha dovuto ipotecare anche qualche bionda,gli altri che gli son contro sono funesti solo al vederli,passano da una sagra all’altra,ed hanno acidità di stomaco per i tanti brindisi.

Il petrolio è al suo prezzo,siamo d’estate,ed il dollaro sale leggermente,ognuno fa i suoi conti,c’è pure chi si copre acquistando lungo in attesa di rialzi futuri e specula.

Per il resto,come già cantava Warren Buffett mesi fa,guardate le trimestrali ed occhio che i bilanci siano corretti,quello che manca lo farà il tempo.

A settembre,al rientro dalle ferie,la gente vende,è da sempre così.

Se avessi  dato retta a tutti gli analisti di borsa  che scrivono sui giornali,mi sarei mangiato più risparmi di quelli che mi son giocato sinora da solo.

Come mai,mi chiederete?

Perché scrivono senz’ anima.

Non hanno tribolato un minuto per mettere da parte 1 lira per i tempi a venire,non si sono fatti il mazzo,leggono mille riviste una in contraddizione con l’altra,e partono da considerazioni meramente tecniche e fredde, senza studiare l’umore del  consumatore,che è colui che fa il mercato.

+++

FINE

Gianluca Mercadante

settembre 10, 2011 Lascia un commento

Mai fidarsi dei giornali

Mai fidarsi dei giornali.
Avevo letto quell’inserzione tra le pagine patinate di un noto settimanale, come lo avrebbe fatto un diciassettenne col naso francobollato sulla foto di una bella signorina senza un grammo di tessuto addosso. Diciassette anni, all’epoca, li avevo, per carità, ma lo sguardo mi era finito altrove. Decisamente altrove.
L’inserzione diceva che la casa editrice ProvarePerCredere, nel corso del corrente anno, sarebbe stata disposta a pubblicare ben novantacinque, e dico novantacinque!, titoli di poesia. Si richiedeva per tanto ai candidati l’invio di un elaborato entro e non oltre la tal data, in tre esemplari di numero, rilegati e accompagnati in calce dai recapiti dell’autore.
L’epoca di internet sarebbe cominciata poco oltre. Non esistevano le copisterie di oggi, non qui in provincia, e nessuna cartoleria ti faceva la tessera a scalare quando ti presentavi lì col tuo bel malloppo.
Se avevi un lavoro, due conti in tasca te li potevi pure fare. Se invece eri a carico dei tuoi, e la tua malsana idea di fare lo scrittore, da grande, diciamo che non era vista di buon occhio in famiglia, raccattare i necessari finanziamenti perché l’operazione andasse in porto poteva rivelarsi alquanto complicato, dovendo giustificare in qualche modo le ragioni della richiesta.
Io rientravo nella seconda categoria. E va aggiunto che, nel mio particolare caso, alla riuscita del piano mancava un elemento ancor più determinante, rispetto alla grana.
Scrivevo poesie sulla Smemoranda di scuola, peggio della ragazzina invaghita del principe azzurro. Ovvio che vorresti essere tu l’oggetto delle sue mica tanto segrete pulsioni, dunque ammiri con la coda dell’occhio la tua compagna di classe preferita, tre file indietro, e inizi a comporre un po’ di analisi logica anche tu. Il finale è scontato: lei non te la darà mai – e nemmeno per spirito critico verso i vocaboli incolonnati che, presto o tardi, le sottoporrai, ma perché t’informa di essere innamorata del fratello della sua compagna di banco, nonché migliore amica.
Hai presente il tipo con la moto, la testa rapata, la sigaretta eternamente accesa e un sacco di tatuaggi sparsi per il corpo? Beh, è per quello lì che ella avrebbe versato cotanto inchiostro e salate lagrime. Fratelli maggiori appartenenti a questa specie, ogni classe che si rispetti ne vanta a eserciti interi, perciò nulla di cui stupirsi. Ne sapeva qualcosa il buon Leopardi, sennò col cavolo che se ne sarebbe rimasto accovacciato e tristo dietro la famosa siepe, a rimirare l’Infinito.
Il brutto è che, ormai, sei in trappola.
La poesia, a quell’età, è come la sigaretta: inizi per gioco, poi prendi il vizio. E ti capita di pensare che qualunque, banalissima idiozia ti passi per la testa, se la metti in colonna, sia degna di essere vergata su carta.
Con le mie auto-appaganti composizioni ci avevo riempito la Smemoranda, a circa metà dell’anno accademico in corso, e cinque block notes, più un sesto in via di ultimazione. Adesso si trattava di scremarne una significativa silloge e inviarla a una casa editrice di Santi, pronta a immettere sul mercato novantacinque, e dico novantacinque!, titoli di poesia. Vuoi che a fronte di un simile numero non avrei avuto alcuna possibilità di piazzare un libro mio?
Questo avevo pensato.
Restava un piccolo dettaglio da risolvere: produrre il dattiloscritto originale. Bill Gates non aveva al momento dato segno di voler espandere il proprio impero alla sfera domestica, d’accordo, ma da che mondo è mondo un dattiloscritto lo si redige grazie all’impiego di un unico mezzo: la macchina da scrivere.
E io, la macchina da scrivere, non ce l’avevo.
A seguito di estenuanti colloqui con mamma e papà, si era raggiunto una specie di accordo. Purché la piantassi una volta per tutte di minacciare lo sciopero della fame, avrebbero acquistato la macchina da scrivere che agognavo, a condizione che il costo rientrasse nel budget.
– Con cinquantamila lire non le vendo neppure il rullo, signora. – Ci aveva redarguiti il titolare del negozio in cui mia mamma e io ci eravamo recati all’indomani, dopo averci entrambi condotti nel magazzino adiacente. Doveva essere dell’opinione che davanti a lui si fossero materializzati due poveracci provenienti da chissà quale basso gradino sociale e la discrezione dovuta al resto della clientela voleva essere un atto di educazione soprattutto nei riguardi della nostra condizione umana.
Tante grazie, mister.
– I prezzi minimi… – Aveva aggiunto – …partono dalle trecento in su. –
I sogni costano, amici cari. Dipende dalle pretese.
Vagavo sconsolato per il magazzino, una stanza quadrata poco più spaziosa di un modesto garage. Il tanfo di polvere era persistente, misto all’olio lubrificante e all’odore dei numerosi nastri accatastati un po’ ovunque, alla rinfusa.
Lei se ne stava quatta quatta sulla parte alta di uno scaffale di ferro, l’aria di una bella signora dimenticata da tutti, finché il tempo non l’aveva per decenza mimetizzata sotto strati e strati di lanugine buia.
– Scusi… – Avevo detto al mister, interrompendo l’elenco di modelli che sciorinava all’attenzione della mia irremovibile genitrice – …quella lì sopra quanto viene? –
L’uomo era rimasto a bocca aperta.
– Quella?! –
– Sì, quella. È una macchina da scrivere, no? –
– Sì, certo che lo è. Ed è anche un bell’arnese, lasciatelo dire, ragazzo. Ma è così come la vedi, senza valigetta né niente. –
– Senza valigetta scrive lo stesso? –
– Beh, se ci faccio una revisione coi controfiocchi sopra, direi di sì. Eccome. –
– Allora la prendo. Per cinquantamila lire. Son soldi guadagnati, no? Sarà lì sopra da anni e anni, a occhio e croce. –
Colpito e affondato.
– Cosa vuoi fare da grande, ragazzo? – Mi aveva chiesto, afflitto dall’esito della trattativa lampo.
Il petto gonfio, lo sguardo di mia madre che perdeva pezzi di avvenire, avevo risposto:
– Lo scrittore. –
– Male. Dovresti fare il commerciante, tu. Io fra una decina d’anni vado in pensione. Se ci ripensi, ti vendo baracca e burattini. Sennò, ripassa domani nel pomeriggio e giuro che quella vecchiaccia la farò talmente scintillare che dovrai mettere gli occhiali da sole per scriverci. –
Il giorno appresso, la bella signora tirata a lustro sottobraccio, rientravo a casa con la mia macchina da scrivere pronta all’assalto dell’editoria italiana e una risma di fogli Fabriano di cui il signore del negozio mi aveva fatto dono, in segno di felice auspicio alla mia neonata carriera. O meglio sarebbe dire: embrionale carriera.
Va detto che mi ero davvero impegnato. Non è semplice, sappiatelo, operare una selezione di quello che hai scritto, non lo è mai. È roba tua. Per dozzinale che possa a posteriori sembrarti, per quanto ridicoli fossero obiettivamente certi tentativi, il fatto di dire “questa sì, questa no” condanna qualcosa di tuo a non uscire mai dal fottuto cassetto. E costringe te a crescere.
Ne avevo scelte e ricopiate 42, una per pagina, posizionate al centro del foglio. Giustificate a sinistra, direbbe Bill.
La mia preferita s’intitolava DIMMELO CHI SEI.

Dimmelo chi sei,
perché se non me lo dici
ti picchio e me lo dirai.
Non ti posso mica ammazzare, tanto.
Se ti ammazzo,
poi,
chi me lo dice tu chi sei?
Sei forse l’Amore?
No, è impossibile.
Saresti già fuggito.

Ora: editando per partito preso e a scanso di equivoci l’ultima terzina, se io ricevessi via mail una castroneria del genere ci terrei a suggerire qualche lettura, una maniera velata affinché l’autore intenda, tra le righe, che aprire ben benino gli occhi e le orecchie al bello, invece di scrivere e basta, significa farsi un grosso favore. Ma quando uno scrive “Amore” con la “A” maiuscola, e ha la sfacciataggine, l’incoscienza di darlo per buono, è il cestino. Istantaneo, senza sensi di colpa, senza spiegazioni.
Vai a fare in culo, creatura, tu e l’Amore. Quanti anni hai? Diciassette? E rollatici le canne, con le tue poesie dattiloscritte, dammi retta, ti divertiresti assai di più.
La ProvarePerCredere Edizioni, a nemmeno quindici giorni dall’invio per posta delle tre copie richieste da bando, aveva preso in seria considerazione la mia proposta. Il pacco recapitato quel giorno dal postino, intestato a me, conteneva una brochure illustrativa sulle numerose attività e collane a cura della casa editrice, il libro di una poetessa ligure da loro scoperta (e le mie poesie, lo penso tuttora, erano infinitamente superiori alle sue, figuratevi quindi che razza di merda dovevano essere), una lettera e un contratto di edizione.
Il mio cuore esultava. Un contratto di edizione! Sarei entrato nell’Olimpo della poesia contemporanea! I miei versi, eternati su carta, sarebbero stati sviscerati parola per parola negli atenei, virgola dopo virgola. Che trip!
Mi girava la testa e… e non ci vedevo granché bene. L’emozione, il sangue pompato in circolo di gran carriera, mi stavano annebbiando la vista. Soprattutto giù, dove nei contratti ci sono le parole piccole. Ecco, lì proprio non mi riusciva di leggere, nossignori.
Vediamo intanto cosa dicono della mia opera, mi ero allora detto, passando di corsa alla lettera.
Avevo battezzato la raccolta “Cancro”, il mio segno zodiacale. Del titolo, tuttavia, la missiva non faceva menzione. Nella prima parte, in compenso, il direttore responsabile della ProvarePerCredere Edizioni si dichiarava nell’obbligo di rendermi nota una certa crisi nel mercato editoriale. Con agghiacciante naturalezza, passava a illustrarmi poi che un editore, privo degli appoggi economici di cui godono i grandi gruppi, non poteva permettersi di rischiare ingenti capitali su nuove firme, su gente che non poteva, in parole povere, garantirgli le vendite minime.
Ma non erano loro i Santi, non erano loro quelli determinati a pubblicare novantacinque, e dico novantacinque!, titoli di poesia?!
Sì, per essere loro erano loro. Soltanto i soldi dovevano essere i miei.
Per la precisione: un milione e mezzo di vecchie lire. Non esattamente una mancetta.
Fra l’altro, il pragmatico e mai in passato coperto direttore responsabile esordiva con un “Caro Gianluca” in grassetto. Mio padre riceveva a cadenza quindicinale buste contenenti lettere che attaccavano così. Le stesse che arrivavano al dirimpettaio.
Un bel giorno i due s’incrociano nell’androne condominiale appunto per prendere la posta prima di risalire in casa e si accorgono di avere in mano buste identiche. Per un istante si fronteggiano, quasi a volersi riconoscere in qualità di membri di una loggia massonica, poi l’altro scoppia a ridere e chiede a mio padre se, di quindici giorni in quindici giorni, vince anche lui un premio esclusivo, a patto che faccia subito un ordine. Ovviamente, la risposta è sì. Da lì a confrontare le lettere appena giunte è un attimo: uguali come le famigerate due gocce d’acqua. Tranne in un dettaglio. “Caro Fiorello”, mio padre, “Caro Ernesto”, il dirimpettaio.
Percepire il medesimo meccanismo comunicativo nei termini di una lettera che accompagna un contratto editoriale, nel quale si esige il versamento della somma di un milione e cinquecentomila lire a una casa editrice intenzionata a stampare e distribuire novantacinque, e dico novantacinque!, titoli di poesia, è una sensazione piuttosto inquietante.
Avrei alzato la voce, oh se l’avrei alzata!
Infilato il foglio nel rullo, e assunto un tono abbastanza sportivo, scrivevo al caro direttore responsabile della ProvarePerCredere Edizioni che non ero affatto disposto a pagare per ottenere una cosa che avevo già. Quelle poesie erano le mie poesie e non trovavo sensato foraggiare un editore che, di mestiere, avrebbe dovuto foraggiare me.
Un paio di settimane più tardi, altro pacco, stavolta più piccolo. Una busta, direi, delle dimensioni di quelle del dirimpettaio e di papà.
Era cambiata l’offerta, mi veniva chiesta solo la metà dei soldi.
Nonostante pensassi che contro rispondere sarebbe stato offensivo innanzitutto nei miei riguardi, avevo comunque inserito il foglio, posizionato i margini e controllato se il cursore dell’inchiostro fosse sul nero.
Ci sono gesti che senti il bisogno di compiere al di là dello scopo che hanno.
Il bisogno cui il mio gesto rispondeva era scrivere. Non sapevo cosa. Una poesia nuova, magari, la prima in assoluto che avrei battuto interamente a macchina, ma benché la tastiera fosse stata oliata di fresco, le dita faticavano ad affondare nelle lettere.
E nessuna parola bastava a raccontare perché.

Giovedi scorso era il 8 settembre…

settembre 10, 2011 Lascia un commento

Edouard Manet+1868+La fucilazione di Massimiliano del Messico+

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+…8 Settembre..1943..e chi se ne ricorda più..? +

Mi raccontava uno zio buonanima,il quale era stato su di un fronte della seconda guerra mondiale,che aveva fatto amicizia con dei soldati tedeschi della Wehrmacht,e se pur non si capissero più di tanto tra di loro, c’era fratellanza.

All’ora di cena lui o qualche collega italiano stappava un bottiglione di vino,e c’era allegria quando non si sparava contro il buio,dacchè già allora non erano tutti fessi,e di notte non seguivi che la scia lasciata da qualche proiettile tracciante che arrivava,al quale rispondevi con un altro tracciante.

I tedeschi poi,tiravano fuori la schnaps e giù a cantare in coro..Lili Marleen..insomma per farla breve c’era cameratismo,amicizia e la solidarietà del povero al fianco del povero, senza distinzioni di uniforme.

Il 8 settembre il gen.Badoglio diede via radio l’annuncio che la guerra era finita ed immediatamente che ricominciava,ma..questa volta.. contro l’alleato tedesco che avevamo avuto sino a poche ore prima.

« la guerra continua e l’Italia resta fedele alla parola data … chiunque turbi l’ordine pubblico sarà inesorabilmente colpito »

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Immaginatevi  la sorpresa tra i nostri militari abbandonati al fianco dei tedeschi,e pure quella dei  tedeschi,sorpresi da questo annuncio,che li faceva diventare d’immediato nostri nemici,mentre anche loro parevano all’inizio abbandonati  in mezzo a noi,ma con un governo che governava ancora.

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Mio zio vide il comandante tedesco entrare nella tenda del nostro comandante,a confabulare per trattare come uscire da questo vero..garbuglio…ovvero o arrestarlo..o arrestarsi a vicenda o fare in maniera che  uno dei due…se ne andasse..rapido con i suoi soldati in una zona più tranquilla al riparo dalle brutte tentazioni,infatti cominciavano ad arrivare ordini da Berlino di disarmare i nostri o di sparargli contro.

Il problema si vedeva chiaro e limpido anche a motivo delle amicizie createsi tra ufficiali,e non tutti erano d’accordo nel rompere questi rapporti per degli ordini che parevano insulsi alle orecchie di entrambe le parti. I soldati della Wehrmacht non erano tutti nazisti sfegatati,come i nostri,d’altro canto,non erano tutti fascistissimi.

Si erano abituati a stare un po’ insieme,ed anche se sembravamo i loro parenti poveri per il nostro equipaggiamento,nel tempo libero si giocava al pallone, gli ufficiali si facevano una partita al bridge,o se fortunati di trovarsi accampati in qualche resort meglio curato, anche singoli e doppi di tennis.

Li avevano arruolati per i soliti motivi ,ma nessuno di loro voleva lasciarci la pelle.

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I tedeschi avvisarono chiaro e tondo che al loro comando c’erano anche ufficiali esaltati di tono politico quali le SS,che non avrebbero permesso  a quelli della Wehrmacht di farsi i comodacci loro,continuando a dialogare con noi, e che erano pronti anche a sparare sui propri connazionali se non eseguivano gli ordini impartiti,mentre da noi c’erano pure dei fascisti che non credevano ai loro occhi,nel dover rimangiarsi tutto l’affetto costruito nel tempo verso l’alleato tedesco,ed avrebbero voluto continuare a stare con loro nel caso gli si fosse rotto un fucile o mancassero munizioni o avessero avuto appetito.

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Ci pensate cosa vuol dire trovarsi nella.. mmmmm..a migliaia di chilometri da casa,e dal proprio paese, perché i politici,a Roma,si son messi a litigare tra di loro su chi deve continuare a comandare,mentre i non politici stanno al fronte in prima linea a prendersi le pallottole nemiche o a morire di fame senza alcun rifornimento?

Nessuna considerazione.

Da parte di nessuno,anzi,arriva una corvetta ad Ortona e si imbarca tutti quanti i romani, portandoseli in salvo a sud.

A Brindisi.

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Re,Regina,Principe Ereditario, parenti vari, Badoglio con lo Stato Maggiore, papaveroni e papaverine,e cassa al seguito..

Roma resta sguarnita dei capi pensatori,ed abbandonata al suo destino.

L’Italia  anche.E degli italiani… che se ne farà?

Il resto lo conoscete. Finì che morirono altri innocenti. Centinaia di migliaia o milioni.

Ma morì anche la dignità ed il rispetto verso gli altri cittadini del Paese.Se per quello,anche pure ricambiato.

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Ritorsioni di qui,fucilazioni di là,Ebrei deportati ed uccisi,Fosse Ardeatine,Marzabotto,Massacro di Sant’Anna…il Duce che accetta di far fucilare il genero,lotta partigiana,in breve ..guerra civile…come in Libia..dove appaiono..ora  50mila morti all’improvviso.

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Chi non aderirà ad una mezza Italia,o del Nord o del  Sud,avrà solo dei problemi.

I fascisti o quelli del Nord li troveranno  a guerra terminata,i non fascisti subito,ed ecco i treni verso i lager per il lavoro forzato in Germania o se partigiani,perseguitati come banditi e passati per le armi.

Ma con che concetto si era obbligati a dover scegliere tra le due parti,quando in realtà tutti ne avrebbero fatto volentieri a meno e preferito ritornare a casa come promesso dalla radio?

Di quei soldati lontani abbandonati in mezzo ad altri colleghi non più amici,se ne dimenticarono tutti,e dovettero arrangiarsi come poterono,anche morendo per mano di coloro con cui sino a pochi giorni prima si mangiava e si beveva insieme.

Nessuno andò esente dall’improvvisazione creatasi dal caos.

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E’ inutile parlare di storia spiegando minuziosamente i fatti ed i vari perché che non finiscono col dare risposta alcuna a chi ha sofferto o è morto senza darsene una vera ragione.

Il povero zio riuscì a tornare a casa alla meno peggio,pensava di starsene tranquillo,lo andarono a cercare per mettergli una nuova uniforme,senza avvisarlo dei compiti richiesti.

Stamane si parte a cercare dei nostri che si sono rivoltati..contro il Duce,d’accordo?

Lui alza la mano tremante e dice nò. 

Io a fare il poliziotto contro altri italiani che potevano essere dei miei commilitoni non ci vengo.

A quei tempi non ti dicevano…stai punito…e lasciato in cella una settimana,ti danno del traditore,ti bastonano, e lo imbarcarono per un lager tedesco al lavoro forzato da prigioniero.

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Se la cavò,tubercolosi,e pelle ed ossa alla fine del conflitto,con i tedeschi che ci avrebbero ammazzati tutti per la rabbia creatasi per il tradimento dei nostri papaveri che se l’erano squagliata,e lui non poteva reagire e per la mancanza di forze dovuta alla fame e perché se reagivi eri morto stecchito all’istante.

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Dal mio punto di vista preferisco pensare a cosa dovette passare per la mente alle tre parti,i tedeschi e le due mezze Italie,e come tante volte anche tra amici, trovi chi mette zizzania e ti fa litigare. Gli uomini di solito danno sempre la colpa alle mogli,invidiose ora di uno ora dell’altra. Ma non è vero. Anche tra partiti si litiga,ed anche senza partiti, nel club del  Capo,dove i corridoi servono a riportare ciance.

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I problemi del popolo,inteso come borghesia e classe lavoratrice,divengono reali quando accadono terremoti non preventivati per cattiva o mancata informazione.

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Io mi faccio il mio di commento,e chi vuole,si faccia il suo. Penso soprattutto alle sofferenze inutili anche mentali,lo stress di un povero diavolo che non sa da che parte stare.E si trova a dover prendere del tempo.

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Poi penso a gente come Himmler,ed a Churchill quando disse che a fine partita,li avrebbe voluti tutti in fila sulla sedia elettrica come  criminali comuni,non impiccati con dignità.

Vedete,Himmler era il tipo da andare a vedere come si fucilava la gente esattamente come ad uno spettacolo di football.

Arrivava in Ucraina e diceva,fucilatemi 200 Ebrei subito preferibilmente, oppure partigiani russi, dopo ,qui dinanzi a me,studiava attentamente il cronometro e lo stress di chi stava per essere ammazzato e di chi doveva sparare.Poi diceva,adesso io me ne vado,continuate voi,che devo studiare un metodo più rapido e meno faticoso per la pace dei nostri soldati.I quali,in realtà,l’avessero fatto anche per dei premi in denaro,la sera erano tutti ubriachi fradici pensando al sangue che sprizzava di qui e di là, e tutte le mattine il compito ricominciava uguale.In fondo chi ammazzavano? Uomini,donne,bambini,vecchi..tutta gente inoffensiva e disarmata…ma erano ordini.

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L’altro giorno mi studiavo la frase..elemento da sbarco…e trovo la seguente risposta,

 “elemento da sbarco” è un’immagine usata, all’inizio, dalla Marina. La prima ondata di uno sbarco è destinata a morte certa. Vista l’ineluttabilità della fine di chi sbarca per primo, chi comanda coglie l’occasione per disfarsi di chi sembra valere meno, collocando nella prima ondata i tonti, gli illusi, i farlocchi, i fanatici, i fessi, i malviventi, i poveri cristi.

I “tipi da sbarco” erano i sacrificabili, gli inutili, i barcollanti sull’orlo del mondo…**

vedete,questa frase impropriamente si usava da ragazzi accanto al detto… sei una sagoma… che

invece viene commentato in questa maniera..

… Forse perchè tanti anni fa nelle hall dei teatri o ovunque si pubblicizzasse uno spettacolo di cabaret circolavano le sagome in cartone a grandezza naturale dei più famosi attori comici…..perciò quando una persona comune faceva molto ridere gli si diceva “Sei proprio (come) una sagoma”, cioè sei proprio un grande comico! ***

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Oggi c’è festa,domani ci sono le vendette e poi si ricomincia a vivere cancellando anche il ricordo di tutto,ma non si riesce mai a venire a capo della matassa.

Il politico per mestiere,finisce con l’ingarbugliare le cose onde apparire come il salvatore della patria,mentre in realtà tutte le organizzazioni hanno bisogno di buoni amministratori..ma  non di politici nel termine dispregiativo.. di chi te la conta su.. mente..o prevarica..o fa il furbo…o sa di poco…e cerca di ottenere..un vantaggio personale per se o per la cerchia dei suoi vassalli.

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Se avete sentito le proposte di un nuovo Governo per oggi,tipo di prendere i bisnonni dei due rami secchi,di intese allargate,di tecnici,di amnistie prima di lasciare il posto..che cosa vi passa per il cervello?

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Che se a casa vostra comandassero tutti,dai genitori ai figli.. a chi alza di più la voce, e pure il cane che abbaia,queste sarebbero le intese..ovvero anarchia..io ad esempio abbandonavo il posto a tavola quando mi sentivo offeso…

In fondo anche a scuola dovrebbero insegnare che chi decide è uno solo,che non si può comandare in due senza litigare..e che prima di fare delle sciocchezze in campi in cui uno non se ne intende consulti un anziano che la sappia più lunga di te.

Che il bisnonno si accontenta di stare accanto alla stufa di inverno aspettando l’ora di cena,ma il libretto di risparmio lo tiene cointestato ad un giovane che esca a ritirargli la pensione,lui ha le gambe malate,e che l’elettricista non viene ad aggiustarvi il tetto,o il muratore si interessa di curare i vostri risparmi,e chi è estraneo alla famiglia,non può conoscere come la pensate in casa.Non vi pare? E che se avete debiti sin sopra i capelli,non aspettate il giorno della scadenza per dire  ai commensali..che per l’indomani non ci saranno più soldi per fare la spesa,e che finito quanto resta nel frigo bisogna andare a chiedere l’elemosina o a rubare di notte a casa del vicino.

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E’ meglio andare in una casa in pianto

che andare in una casa in festa;

perché quella è la fine d’ogni uomo

e chi vive ci rifletterà….

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Breve pensiero dell’autore in considerazione della fucilazione dell’Arciduca Massimiliano,abbandonato in terra straniera da Napoleone III Imperatore dei Francesi,e di noi Italiani,il cui Re saluta tutti nel ’43 e lascia il potere in mano ai Tedeschi.

Nessuna obbiezione.

Dicono che i fatti storici..non si ripetano…ma provate a pensare alla crisi UE dei nostri giorni e non sperate di trovare compagni di viaggio che siano più generosi.Con l’augurio che ognuno faccia ordine a casa propria senza attendere che vengano gli altri a fartela in tua vece..

FINE

** http://helzapoppinhp.blogspot.com/2010/07/elemento-da-sbarco-e-unimmagine-usata.html

***http://it.answers.yahoo.com/question/index?qid=20070614152728AATFJ0j

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