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Raperonzola..Rapina..cala giù la tua codina…

settembre 2, 2011 Lascia un commento

C’erano una volta un uomo e una donna, che già da molto tempo desideravano invano un figlio; finalmente la donna poté sperare che il buon Dio esaudisse il suo desiderio. Sul di dietro della casa c’era una finestrina, da cui si poteva guardare in un bellissimo giardino, pieno di splendidi fiori ed erbaggi; ma era cinto da un alto muro e nessuno osava entrarvi, perché apparteneva ad una maga potentissima e temuta da tutti.

Un giorno la donna stava alla finestra e guardava il giardino; e vide un’aiuola dov’erano coltivati i più bei raperonzoli; e apparivano cosi freschi e verdi, che le fecero gola e le venne una gran voglia di mangiarne. La voglia cresceva ogni giorno; ma ella sapeva di non poterla soddisfare e dimagrì paurosamente e divenne pallida e smunta. Allora il marito si spaventò e chiese: “Che hai, cara moglie?” “Ah,” ella rispose, “se non riesco a mangiare di quei raperonzoli che son nel giardino dietro casa nostra, morirò.” Il marito, che l’amava, pensò: ‘ Prima di lasciar morire tua moglie, valle a prendere quei raperonzoli, costi quel che costi. ‘ Perciò al crepuscolo scavalcò il muro, entrò nel giardino della maga, colse in tutta fretta una manciata di raperonzoli e li portò a sua moglie. Fila si fece subito un’insalata e la mangiò avidamente. Ma le era piaciuta tanto e tanto, che il giorno dopo la sua voglia era triplicata. Perché si quietasse, l’uomo dovette andare un’altra volta nel giardino. Perciò al crepuscolo scavalcò di nuovo il muro, ma quando mise piede a terra si spaventò terribilmente, perché vide la maga davanti a sé.”Come puoi osare,” ella disse facendo gli occhiacci, “di scendere nel mio giardino e di rubarmi i raperonzoli come un ladro? Me la pagherai!” “Ah,” egli rispose, “siate pietosa! A questo fui spinto da estrema necessità: mia moglie ha visto i vostri raperonzoli dalla finestra e ne ha tanta voglia che morirebbe se non potesse mangiarne.” La collera della maga svanì ed ella disse: “Se le cose stanno come dici, ti permetterò di portar via tutti i raperonzoli che vuoi, ma ad una condizione; devi darmi il bambino che tua moglie metterà al mondo. Sarà trattato bene e io sarò a lui come una madre.” Impaurito, l’uomo accettò e quando la moglie partorì, apparve subito la maga, chiamò la bimba Raperonzolo e se la portò via.

Raperonzolo diventò la più bella bambina del mondo. Quando ebbe dodici anni, la maga la rinchiuse in una torre che sorgeva nel bosco e non aveva né scala né porta, ma solo una minuscola finestrina in alto in alto. Quando la maga voleva entrare, si metteva finestra e gridava:

“Raperonzola, Rapina,
cala giù la tua codina”

Raperonzolo aveva capelli lunghi e bellissimi, sottili come oro filato. Quando udiva la voce della maga, si slegava le trecce, le annodava a un cardine della finestra, ed esse ricadevano per una lunghezza di venti braccia, e la maga ci si arrampicava.

Dopo qualche anno, avvenne che il figlio del re, cavalcando per il bosco, passò vicino alla torre. Udì un canto cosi soave, che si fermò ad ascoltarlo: era Raperonzolo, che nella solitudine passava il tempo facendo dolcemente risonar la sua voce. Il principe voleva salire da lei e cercò una porta, ma non ne trovò. Tornò a casa, ma quel canto tanto lo aveva tanto commosso che ogni giorno andava ad ascoltarlo nel bosco. Una volta, mentre se ne stava dietro un albero, vide avvicinarsi la maga e l’udì gridare:

“Raperonzola, Rapina,
cala giù la tua codina”

Raperonzolo lasciò pender le trecce e la maga salì da lei. ‘ Se questa è la scala per cui si sale, tenterò anch’io la mia fortuna ‘ pensò il principe. Il giorno dopo, sull’imbrunire, andò alla torre e gridò:

“Raperonzola, Rapina,
cala giù la tua codina”

Subito dall’alto si snodarono i capelli e il principe salì. Dapprima Raperonzolo ebbe una gran paura quand’egli entrò, perché i suoi occhi non avevan mai visto un uomo; ma il principe cominciò a parlarle con grande dolcezza e le narrò che il suo cuore era stato così turbato dal canto di lei da non lasciargli più pace: e aveva dovuto vederla. Allora Raperonzolo non ebbe più paura e quando egli le chiese se lo voleva per marito ed ella vide che era giovane e bello, pensò: ‘ Mi amerà più della vecchia signora Gothel ‘, disse di sì e mise la mano in quella di lui; e gli disse: “Verrei ben volentieri, ma non so come fare a scendere. Quando vieni, portami una matassa di seta: la intreccerò e ne farò una scala; e quando è pronta, scendo, e tu mi prendi sul tuo cavallo.”Combinarono che fino a quel momento egli sarebbe venuto tutte le sere; perché di giorno veniva la vecchia.

La maga non si accorse di nulla, finché una volta Raperonzolo prese a dirle: “Ditemi, signora Gothel, come mai siete tanto più pesante da tirar su del giovane principe? quello è da me in un momento”.”Ah, bimba sciagurata!” gridò la maga, “cosa mi tocca sentire! pensavo di averti separata da tutto il mondo e invece tu mi hai ingannata!” Furibonda, afferrò i bei capelli di Raperonzolo, li avvolse due o tre volte intorno alla mano sinistra, afferrò con la destra un paio di forbici e, tric trac, eccoli tagliati e le belle trecce giacevano a terra. E fu cosi spietata da portare la povera Raperonzolo in un deserto, ove dovette vivere in gran pianto e miseria. Il giorno in cui aveva scacciato Raperonzolo dalla torre, assicurò le trecce recise al cardine della finestra e quando arrivò il principe e gridò:

“Raperonzola, Rapina,
cala giù la tua codina”

Il principe sali, ma, invece della sua diletta, trovò la maga, che lo guardava con due occhiacci velenosi. “Ah,” esclamò beffarda, “sei venuto a prendere la tua bella! Ma il bell’uccellino non è più nel nido e non canta più; il gatto l’ha preso e a te caverà gli occhi. Per te Raperonzolo è perduta, non la vedrai mai più.”

Il principe andò fuori di sé per il dolore, e disperato saltò giù dalla torre: ebbe salva la vita, ma le spine fra cui cadde gli trafissero gli occhi. Errò, cieco, per le foreste; non mangiava che radici e bacche e non faceva che piangere e lamentarsi per la perdita della sua diletta sposa. Cosi per alcuni anni andò vagando miseramente; alla fine capitò nel deserto in cui Raperonzolo viveva fra gli stenti, coi due gemelli che aveva partorito, un maschio e una femmina. Udì una voce, e gli sembrò ben nota: si lasciò guidare da essa, e quando si avvicinò, riconobbe Raperonzolo che gli saltò al collo e pianse. Ma due di quelle lacrime gli inumidirono gli occhi; essi allora si schiarirono di nuovo, ed egli poté vederci come prima.

La condusse nel suo regno, dove fu riabbracciato con gioia; e vissero ancora a lungo felici e contenti.

Fiabe Classiche – Grimm: Raperonzolo

http://www.paroledautore.net/fiabe/classiche/grimm/raperonzolo.htm

Fenomenale….?

settembre 2, 2011 Lascia un commento

 La Ronda 1996 + Victor Nomin.Pittore vercellese+

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Hanno appena terminato un ciclo sui canali dei nostri telegiornali dedicati alle carceri nostrane che accudiscono un 30% di galeotti in più rispetto ai posti disponibili,ed ecco che nuove minacce si presentano al pubblico degli evasori.

Vi ficchiamo dentro.

Carcere duro per chi evade il fisco di oltre i 3 milioni di euro.

Il “duro” consiste nel poter ricevere visite,pranzi dal ristorante e telefonate.

Altrimenti sarebbe di massima punizione,dove fai il normale carcerato mangiando quello che ti cucinano in loco,o quello solito,dove ci passi una notte e poi l’avvocato ti tira fuori in base ai vari comma,termini di legge scaduti,amnistie varie,mancanza di voglia di reiterare,problemi di cuore,e mance,soprattutto quelle.

Ma se non ci sono più soldi come facciamo a costruire il ponte di Messina,la super TAV e… le nuove carceri previste per questi tipi di reati?

Provate ad interrogare Internet sul termine: grida manzoniane e troverete una fila di attacchi..diretti indovinate contro chi…ha due attività pur essendo parlamentare..e quante ne combinano..e soprattutto quanto ridano gli italiani vilipesi..da un programma TV come quello delle galere..di dove pare vogliano già sfoltire..i clienti…per il costo..a carico dell’erario.

A me sembra un controsenso.

E poi con tutto il pianto che c’è in giro,dove li trova la gente tre milioni di euro da evadere?

Chi li ha son sempre i soliti,il mio barbiere,per esempio,che ha evaso cinque euro,ma ha due o tre residenze e passaporti vari,aerei privati,elicotteri,e non aspetta di certo la finanza che lo sorprenda nel sonno.

In primo luogo,i barbieri se ne vanno oltre frontiera,e poi negoziano.

Infatti di errori giudiziali ne facciamo a josa,e chi se lo può permettere, studia con cura l’accusa e poi risponde,non attende certo di essere messo  alla berlina solo per assecondare qualche nemico che possieda un giornale e che gli spari contro.

Da noi la calunnia è all’ordine del giorno,tu mi rompi le balle ed io ti diffamo,mando foto ai giornali dove ti pescano con l’amante,trovo chi ti denunci accusandoti di riciclaggio,qualche pentito a pagamento,ti origlio al telefono mentre parli con un’amica o con un altro barbiere,per fare aggiotaggio sulle tariffe,e chissà poi dove vanno a finire tutti questi nastri..a Cinecittà,presumo.

Son cose da film surreale…

Metà dei Parlamentari ha il doppio incarico e diserta l’Aula

Meno di tremila euro al mese e il doppio lavoro si conserva. Salvi i 6 con due incarichi pubblici

http://www.corriere.it/economia/11_agosto_20/meno-di-tremila-euro-al-mese-e-il-doppio-lavoro-si-conserva-m-antonietta-calabro_1d935112-caf8-11e0-b86a-917f0100247d.shtml

fine…?

Lo stimolo a far meglio…

settembre 2, 2011 Lascia un commento

Gi Modesto

+ Autoritratto notturno con ombra di schienale di sedia+2011

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La roba è una novella di Giovanni Verga che fa parte della raccolta Novelle rusticane.

 

In questa novella l’umile contadino Mazzarò, che viene descritto come un uomo basso e con una grossa pancia; era ” ricco come un maiale” (metafora che rappresenta anche la sua avidità di ricchezza) ed aveva la testa simile ad un brillante (per rappresentare l’intelligenza). Egli finisce, piano piano, per appropriarsi di tutti i terreni che prima appartenevano ad un potente barone, il quale viene costretto a vendere da prima i suoi possedimenti e successivamente anche il suo castello (eccezion fatta per lo stemma nobiliare; Mazzarò non era interessato all’appropriazione di alcun titolo nobiliare). Verga esaspera nella novella il concetto del duro lavoro, necessario se si vuole raggiungere un qualsiasi obiettivo, poiché il fato e la Provvidenza sono invece destinati a travolgere l’uomo.

 

L’ossessione di Mazzarò è di espandere sempre di più i suoi possedimenti, (avere sempre più “roba”, alla quale è molto legato). Il suo attaccamento ai beni materiali è così forte che quando verrà il momento di separarsene poiché si trova sul punto di morte, cammina nei suoi possedimenti, uccidendo il bestiame al grido di “Roba mia, vieni con me!”. Mazzarò è un abbozzo del personaggio di Mastro-don Gesualdo, protagonista dell’omonimo romanzo: anch’egli è infatti riuscito nell’accumulazione di “roba” tramite il lavoro, nonostante sia nato da una famiglia povera.

 

 Tecnica dello straniamento

 

Nella novella si trovano diversi esempi di una delle tecniche narrative maggiormente usate dallo scrittore Giovanni Verga e cioè la tecnica dello straniamento, quella tecnica che, definita teoricamente dai formalisti russi degli anni ’20, serve per narrare un avvenimento o descrivere un personaggio utilizzando un punto di vista estraneo all’oggetto.

 

Il narratore, in questa novella non dimostra mai riprovazione nei confronti del personaggio principale, Mazzarò, e dei sistemi che lui ha usato per divenire ricco, mai riprovazione per la sua avarizia, per la sua aridità sentimentale, per la sua brutalità nei confronti dei lavoranti, per la disumanità verso i fittavoli rovinati dalla sua avarizia di usuraio.

 

Mazzarò appare quasi eroico e degno di lode. Appare manifesto, anche qui come nella “Lupa”, il narratore popolare che condivide la mentalità ed i valori del protagonista.

 

Come ne “L’amante di Gramigna” il rainteressante perché si immagina qualcuno che va in giro e domanda:

 “Il viandante che andava lungo il Biviere di Lentini, steso là come un pezzo di mare morto, e le stoppie riarse della Piana di Catania, e gli aranci sempre verdi di Francofonte, e i sugheri grigi di Resecone, e i pascoli deserti di Passaneto e di Passanitello, se domandava, per ingannare la noia della lunga strada polverosa, sotto il cielo fosco dal caldo, nell’ora in cui i campanelli della lettiga suonano tristamente nell’immensa campagna, e i muli lasciano ciondolare il capo e la coda, e il lettighiere canta la sua canzone malinconica per non lasciarsi vincere dal sonno della malaria: – Qui di chi è? – sentiva rispondersi: – Di Mazzarò -. E passando vicino a una fattoria grande quanto un paese, coi magazzini che sembrano chiese, e le galline a stormi accoccolate all’ombra del pozzo, e le donne che si mettevano la mano sugli occhi per vedere chi passava: – E qui? – Di Mazzarò -…. – Pareva che Mazzarò fosse disteso tutto grande per quanto era grande la terra, e che gli si camminasse sulla pancia. – Invece egli era un omiciattolo, diceva il lettighiere, che non gli avreste dato un baiocco, a vederlo; e di grasso non aveva altro che la pancia, e non si sapeva come facesse a riempirla, perché non mangiava altro che due soldi di pane; e sì ch’era ricco come un maiale; ma aveva la testa ch’era un brillante, quell’uomo. …”

In questa novella non vi è un punto di vista privilegiato, tutti raccontano e dicono la loro. Il lettore vede anche il punto di vista di Mazzarò che si leva il pane di bocca per amore della roba; un uomo senza vizi ma anche senza affetti:

 “…Non aveva il vizio del giuoco, né quello delle donne. Di donne non aveva mai avuto sulle spalle che sua madre, la quale gli era costata anche 12 tarì, quando aveva dovuto farla portare al camposanto. …”

che rifiuta le banconote perché per lui ha valore solo la terra e la proprietà.

 “…Del resto a lui non gliene importava del denaro; diceva che non era roba, e appena metteva insieme una certa somma, comprava subito un pezzo di terra; perché voleva arrivare ad avere della terra quanta ne ha il re, ed esser meglio del re, ché il re non può ne venderla, né dire ch’è sua. …”

In un certo senso in Mazzarò c’è il riscatto del povero bracciante che tutti pigliavano a calci ma che poi diviene ricco.

 “… Tutta quella roba se l’era fatta lui, colle sue mani e colla sua testa, col non dormire la notte, col prendere la febbre dal batticuore o dalla malaria, coll’affaticarsi dall’alba a sera, e andare in giro, sotto il sole e sotto la pioggia, col logorare i suoi stivali e le sue mule – egli solo non si logorava, pensando alla sua roba, ch’era tutto quello ch’ei avesse al mondo; perché non aveva né figli, né nipoti, né parenti; non aveva altro che la sua roba. Quando uno è fatto così, vuol dire che è fatto per la roba.”

La ricchezza di Mazzarò, però, non serve al miglioramento sociale, non serve a creare una vera classe borghese soddisfatta di sé e dei propri valori, crea soltanto altri vinti.

 

Mazzarò non forma una famiglia, non crea una nuova dinastia di proprietari perché per lui l’unico valore è la roba che non può portare con sé nell’aldilà e quindi si dispera e vuole che la roba muoia con lui.

 “…E stava delle ore seduto sul corbello, col mento nelle mani, a guardare le sue vigne che gli verdeggiavano sotto gli occhi, e i campi che ondeggiavano di spighe come un mare, e gli oliveti che velavano la montagna come una nebbia, e se un ragazzo seminudo gli passava dinanzi, curvo sotto il peso come un asino stanco, gli lanciava il suo bastone fra le gambe, per invidia, e borbottava: – Guardate chi ha i giorni lunghi! Costui che non ha niente! – Sicché quando gli dissero che era tempo di lasciare la sua roba, per pensare all’anima, uscì nel cortile come un pazzo, barcollando, e andava ammazzando a colpi di bastone le sue anitre e i suoi tacchini, e strillava: – Roba mia, vientene con me!”.

 

http://it.wikipedia.org/wiki/La_roba

FINE